Don Carlo De CARDONA (1871 - Morano Calabro - 1958)
Il 1984 Giovanni Paolo II, nello stadio
S. Vito di Cosenza, invitando la Chiesa di Calabria a essere «fermento e forza
morale per il rinnovamento e la rinascita religiosa, sociale, morale e civile
di tutta la regione» indicò come modello da seguire Don Carlo de Cardona, il
gigante del Cattolicesimo calabrese. Nato a Morano Calabro il 1871, nel 1890 si
trasferì a Roma per laurearsi in filosofia e teologia alla Pontificia
Università Gregoriana, dove conobbe e studiò l’enciclica Rerum Novarum di Leone
XIII respirandone la spinta sociale per un forte rinnovamento ecclesiale. Il 7
lug. 1895 fu ordinato sacerdote a Cassano Ionio e qualche mese dopo mons.
Camillo Sorgente, arcivescovo di Cosenza lo chiamò ad essere suo segretario particolare.
E grazie alla pastoralità nuova dell’Arcivescovo Camillo Sorgente don Carlo de
Cardona ha avviato e concretizzato il programma di azione socio politica religiosa
e, nello stesso tempo, formativa ed educativa per il popolo indispensabile per
una qualificante presenza della Chiesa di
Cosenza nella società civile. Nel 1898, nonostante la derisione e una accanita lotta contro di lui
da parte della massoneria cosentina, non si fermò e fondò “La Voce cattolica”
strumento prezioso per diffondere fra il clero e il popolo la dottrina sociale
della chiesa. Nel 1901 diede vita alla Lega del lavoro, aderente all'Opera dei
congressi, e successivamente alla Cassa rurale di Cosenza, come complemento
delle leghe per l'emancipazione economica e politica dei lavoratori. Nel 1904
fu eletto nel Comune di Cosenza dove ricoprì la carica di assessore alle Finanze.
Fu consigliere provinciale dal 1905 al 1923. Come presidente della Cassa rurale
federativa di Cosenza, risolse la crisi della Cassa di risparmio e finanziò la
costruzione dell'impianto idroelettrico di San Pietro in Guarano. Nel 1913 partecipò
al primo convegno cattolico calabrese, dove sottolineò che le precarie
condizioni economiche della Calabria favorivano lo sviluppo del movimento
sociale cattolico e per questo propose la costituzione di leghe del lavoro in
tutta la regione. Intervenne poi al congresso regionale del movimento cattolico
calabrese tenutosi a Crotone dove evidenziò il ruolo della cultura nello
sviluppo della fede cristiana del popolo. Allo scoppio della prima guerra
mondiale fu tra i fautori di un progetto di pace e alla fine della guerra tra i
fondatori della sezione cosentina del Partito Popolare Italiano, nella cui
segreteria provinciale egli entrò nel 1920. Nello stesso anno guidò le leghe
contadine alla conquista di nuovi patti agrari. Il fascismo però distrusse la
sua opera sociale ed egli stesso fu costretto ad abbandonare Cosenza. Nel 1935
si ritirò a Todi, ospite del fratello Ulisse. Andò a Roma, presso il santuario
del Divino Amore, poi a Collepepe (Perugia), ritorno a Todi e vi rimase fino al
1941, quando mons. Calcara, nuovo vescovo di Cosenza, lo richiamò in città dove
costituì una cooperativa contadina e fece parte della giunta comunale,
espressione del Comitato di liberazione provinciale. Stanco e malato andò di
nuovo a Todi e poi rientrò a Morano
Calabro, suo paese nativo. dove morì il
10 marzo 1958. Tutta l’opera di Don Carlo che a Cosenza “nella prima metà del
novecento diventò il pioniere dell’elevazione morale e sociale dei contadini e
degli operai” (Mons. Bonanno) aveva il suo epicentro nel suo essere sacerdote
ed era finalizzata a portare anime a Cristo e a servire i fratelli che si
trovano nel bisogno. Per questo nel corso della sua vita si presentò come persona
di grande fede in Gesù Cristo, nello
Spirito Santo, e nella Madonna, che proponeva ai lavoratori. Una persona di
assoluta obbedienza al papa: “Ogni vero figlio della chiesa deve al Pontefice …
l’ossequio docile e intero della sua mente e del suo cuore”. Un sacerdote,
“prete, soltanto prete” (Mons. Bertolone), che aveva il compito di “insegnare
la fede e inculcare la carità praticandola egli per primo con esempio costante
e luminoso”, e andare al popolo: i preti: “non possono rimanere circoscritti
nelle loro chiese e nei loro presbiteri; bisogna animarli dello spirito
apostolico” (Leone XIII). E’ interessante quando scrive in una lettera
autografa del 23.08.09, trovata nel nostro Archivio Storico Diocesano, su carta
intestata “Cassa Rurale Federativa, società operativa in nome collettivo,
Cosenza: “Mons. Ecc.mo. Perdonate l’ardire e l’indiscrezione, perché è solo per
non resistere alla semplicità e sincerità con cui mi s’induce a questa, che io
Vi prego umilmente e devotamente di prendere in caritatevole considerazione il
desiderio vivissimo dei cittadini di S. Maria Le Grotte, …”. Don Carlo non
portava rancori, non sapeva odiare. Era pronto a dimenticare, a perdonare
tutti, compresi quelli che avversavano le sue idee. “Le virtù teologali
unitamente alle Virtù Cardinali, Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza, ai
consigli evangelici, allo stile di vita di assoluta povertà evangelica e di
adamantina castità, furono il dono più bello fatto da Gesù al Servo di Dio don
Carlo De Cardona , che seppe mettere a frutto i talenti a lui affidati”. (Mons.
Savino). E proprio grazie al vescovo della diocesi di Cassano, mons. Francesco
Savino è da poco ripreso il processo di beatificazione e canonizzazione del servo di Dio, aperto ufficialmente il 25
novembre 2010 da mons. Vincenzo Bertolone, ora arcivescovo metropolita di
Catanzaro-Squillace. Il 2 dicembre scorso infine è avvenuta la
traslazione delle sue spoglie mortali dal cimitero di Morano alla Chiesa Collegiata
di Santa Maria Maddalena dove sono state deposte sull’altare marmoreo a
destra della crociera con la tela ad olio raffigurante Santa Teresa d’Avila.
don Francesco Cozzitorto
articolo pubblicato su "La voce del Pettoruto", ottobre dicembre 2018, anno 49, n. 4, pp. 11-12