7 Aprile 2019 - V DOMENICA DI QUARESIMA - anno C
aprile 4, 2019 alle 9:11 ,
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Is 43,16-21 - Sal 125 - Fil 3,8-14 - Gv 8,1-11
Commento
Se volessimo dare un denominatore comune alle letture di questa V domenica di Quaresima,
potremmo dire, in un parola sola, che questo è la ‘novità’.
La prima lettura, tratta dal profeta Isaia, ci descrive infatti il ‘nuovo esodo’ che il Signore ha
preparato per il suo popolo, esiliato in Babilonia. Come nel primo esodo, quello dall’Egitto, la salvezza
di Israele si è compiuta grazie ai segni di potenza con cui Dio è intervenuto nella storia del popolo (e il
profeta qui ricorda in particolare il passaggio del mare e la disfatta dell’esercito del Faraone, cf Is 43,16-
17, che richiama Es 15,15-31), così il Signore prepara una “cosa nuova” (Is 43,19), un nuovo intervento
di liberazione per il popolo oppresso: Israele attraverserà il deserto per ritornare alla terra promessa
e Dio lo accompagnerà aprendo per lui una strada e facendo sgorgare fonti d’acqua per dissetarlo (Is
43,20, che è eco di Es 17,1-7). Allora il popolo dei redenti, investito dalla novità di Dio per lui, rinnovato
dall’azione di Dio nella sua storia, canterà le lodi del Signore (Is 43,21, che può alludere a Es 15).
Anche il Salmo responsoriale è tutta una esplosione di gioia per l’opera che il Signore ha compiuto
in favore di Israele, l’opera di ristabilimento delle sue sorti, cioè, anche in questo caso, il ritorno dall’esilio
babilonese e il reinsediamento nella terra promessa. La parola che più ricorre nel Salmo è “gioia” (vv.
2-3.5-6) e i suoi sinonimi, quale risposta alle “grandi cose” (vv. 2-3) che il Signore ha fatto per il suo
popolo. La novità di Dio, il suo intervento di salvezza, è anche qui, come in Is 43, paragonato a un
erompere di torrenti nel deserto, il deserto del Negheb, nel sud di Israele (v. 4).
L’apostolo Paolo, nella seconda lettura, pur non usando alcun termine del campo semantico della
novità, usa delle immagini equivalenti: parla infatti di qualcosa che sta alle sue spalle, nel suo passato,
e che lui oggi considera come spazzatura, qualcosa che va rigettata nella misura che gli impedisce di
protendersi verso quanto gli sta di fronte, cioè verso la piena conoscenza di Cristo Gesù (Fil 3,7-8). Ciò
che Paolo considera incompatibile con la novità di Cristo è la sua precedente osservanza scrupolosa delle
norme della Legge mosaica e delle tradizioni farisaiche, nelle quali riponeva la sua fiducia in vista della
salvezza eterna. Grazie all’incontro con Cristo, però, l’Apostolo ha compreso che nulla di tutto questo
vale davvero, perché la salvezza non deriva dalla Legge, ma dalla fede in Cristo, “la giustizia che viene
da Dio, basata sulla fede” (Fil 3,9). È nella relazione viva con Gesù, è “la comunione alle sue sofferenze,
facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti” (Fil 3,10) che
come cristiano posso raggiungere la meta, il premio, della mia vita di fede: non l’osservanza di un codice
di norme morali, ma il rapporto vitale con Gesù Signore permette alla vita cristiana uno slancio di novità
continua. Questo non le consente mai di adagiarsi nei risultati già conseguiti, ma le dona le energie per
lo “sforzo di correre per conquistare” la meta (Fil 3,12): una meta che è sempre nell’oltre, è sempre
davanti, e lascia nell’uomo una sana inquietudine di perfezione mai raggiunta, finché non consegua il
Parola di Dio
85
“premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù” (Fil 3,14).
Anche il Vangelo, apparentemente, non parla in modo esplicito di novità: racconta un tranello
che scribi e farisei vogliono porre a Gesù, per avere di che accusarlo (Gv 8,3-6). E la trappola consiste
nel chiedere a Gesù cosa bisogna fare con una donna sorpresa in flagrante adulterio, peccato che la
Legge di Mosè punisce con la lapidazione. Essi sanno che Gesù è il maestro che non si limita a ripetere
la Legge, ma che la radicalizza e la supera, e per questo gli pongono la domanda, per vedere se arriverà
a contraddire la Legge di Mosè. Al principio Gesù sembra volersi sottrarre al trabocchetto, rifiutando
una risposta diretta: il suo scrivere per terra però può alludere a Ger 17,13: “Quanti si allontanano da
te saranno scritti nella polvere, perché hanno abbandonato il Signore, fonte di acqua viva”. Forse Gesù
vuole ricordare agli scribi e ai farisei questo passo di Geremia perché tutti si rifletta sui propri volontari
allontanamenti dal Signore.
Di fronte all’insistenza degli accusatori della donna, Gesù esprime il suo giudizio sulla situazione:
e non è un giudizio di condanna verso la donna, come non lo è verso nessuno. È un richiamo agli
accusatori dell’adultera a fare un esame di coscienza per vedere se qualcuno di loro sia così innocente di
peccato, da potersi permettere di giudicare il comportamento di questa donna colta in flagrante peccato.
Alla fine tutti se ne vanno, anche la donna è invitata da Gesù ad andare, ma qualcosa è avvenuto: “Va’ e
d’ora in poi non peccare più” (Gv 8,11). Gesù, offrendo il suo perdono, rende capace la donna di una
vita nuova, la abilita a vivere quella novità, che nasce dalla relazione profonda con il Signore, quell’andare
oltre, di cui ci ha parlato S. Paolo, frutto della comunione al mistero di passione e risurrezione di Gesù:
quella novità che ci fa vivere la tensione continua verso la Pasqua eterna, di cui la festa di Pasqua, che è
ormai vicina, è solo annuncio e pregustazione.
Se volessimo dare un denominatore comune alle letture di questa V domenica di Quaresima,
potremmo dire, in un parola sola, che questo è la ‘novità’.
La prima lettura, tratta dal profeta Isaia, ci descrive infatti il ‘nuovo esodo’ che il Signore ha
preparato per il suo popolo, esiliato in Babilonia. Come nel primo esodo, quello dall’Egitto, la salvezza
di Israele si è compiuta grazie ai segni di potenza con cui Dio è intervenuto nella storia del popolo (e il
profeta qui ricorda in particolare il passaggio del mare e la disfatta dell’esercito del Faraone, cf Is 43,16-
17, che richiama Es 15,15-31), così il Signore prepara una “cosa nuova” (Is 43,19), un nuovo intervento
di liberazione per il popolo oppresso: Israele attraverserà il deserto per ritornare alla terra promessa
e Dio lo accompagnerà aprendo per lui una strada e facendo sgorgare fonti d’acqua per dissetarlo (Is
43,20, che è eco di Es 17,1-7). Allora il popolo dei redenti, investito dalla novità di Dio per lui, rinnovato
dall’azione di Dio nella sua storia, canterà le lodi del Signore (Is 43,21, che può alludere a Es 15).
Anche il Salmo responsoriale è tutta una esplosione di gioia per l’opera che il Signore ha compiuto
in favore di Israele, l’opera di ristabilimento delle sue sorti, cioè, anche in questo caso, il ritorno dall’esilio
babilonese e il reinsediamento nella terra promessa. La parola che più ricorre nel Salmo è “gioia” (vv.
2-3.5-6) e i suoi sinonimi, quale risposta alle “grandi cose” (vv. 2-3) che il Signore ha fatto per il suo
popolo. La novità di Dio, il suo intervento di salvezza, è anche qui, come in Is 43, paragonato a un
erompere di torrenti nel deserto, il deserto del Negheb, nel sud di Israele (v. 4).
L’apostolo Paolo, nella seconda lettura, pur non usando alcun termine del campo semantico della
novità, usa delle immagini equivalenti: parla infatti di qualcosa che sta alle sue spalle, nel suo passato,
e che lui oggi considera come spazzatura, qualcosa che va rigettata nella misura che gli impedisce di
protendersi verso quanto gli sta di fronte, cioè verso la piena conoscenza di Cristo Gesù (Fil 3,7-8). Ciò
che Paolo considera incompatibile con la novità di Cristo è la sua precedente osservanza scrupolosa delle
norme della Legge mosaica e delle tradizioni farisaiche, nelle quali riponeva la sua fiducia in vista della
salvezza eterna. Grazie all’incontro con Cristo, però, l’Apostolo ha compreso che nulla di tutto questo
vale davvero, perché la salvezza non deriva dalla Legge, ma dalla fede in Cristo, “la giustizia che viene
da Dio, basata sulla fede” (Fil 3,9). È nella relazione viva con Gesù, è “la comunione alle sue sofferenze,
facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti” (Fil 3,10) che
come cristiano posso raggiungere la meta, il premio, della mia vita di fede: non l’osservanza di un codice
di norme morali, ma il rapporto vitale con Gesù Signore permette alla vita cristiana uno slancio di novità
continua. Questo non le consente mai di adagiarsi nei risultati già conseguiti, ma le dona le energie per
lo “sforzo di correre per conquistare” la meta (Fil 3,12): una meta che è sempre nell’oltre, è sempre
davanti, e lascia nell’uomo una sana inquietudine di perfezione mai raggiunta, finché non consegua il
Parola di Dio
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“premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù” (Fil 3,14).
Anche il Vangelo, apparentemente, non parla in modo esplicito di novità: racconta un tranello
che scribi e farisei vogliono porre a Gesù, per avere di che accusarlo (Gv 8,3-6). E la trappola consiste
nel chiedere a Gesù cosa bisogna fare con una donna sorpresa in flagrante adulterio, peccato che la
Legge di Mosè punisce con la lapidazione. Essi sanno che Gesù è il maestro che non si limita a ripetere
la Legge, ma che la radicalizza e la supera, e per questo gli pongono la domanda, per vedere se arriverà
a contraddire la Legge di Mosè. Al principio Gesù sembra volersi sottrarre al trabocchetto, rifiutando
una risposta diretta: il suo scrivere per terra però può alludere a Ger 17,13: “Quanti si allontanano da
te saranno scritti nella polvere, perché hanno abbandonato il Signore, fonte di acqua viva”. Forse Gesù
vuole ricordare agli scribi e ai farisei questo passo di Geremia perché tutti si rifletta sui propri volontari
allontanamenti dal Signore.
Di fronte all’insistenza degli accusatori della donna, Gesù esprime il suo giudizio sulla situazione:
e non è un giudizio di condanna verso la donna, come non lo è verso nessuno. È un richiamo agli
accusatori dell’adultera a fare un esame di coscienza per vedere se qualcuno di loro sia così innocente di
peccato, da potersi permettere di giudicare il comportamento di questa donna colta in flagrante peccato.
Alla fine tutti se ne vanno, anche la donna è invitata da Gesù ad andare, ma qualcosa è avvenuto: “Va’ e
d’ora in poi non peccare più” (Gv 8,11). Gesù, offrendo il suo perdono, rende capace la donna di una
vita nuova, la abilita a vivere quella novità, che nasce dalla relazione profonda con il Signore, quell’andare
oltre, di cui ci ha parlato S. Paolo, frutto della comunione al mistero di passione e risurrezione di Gesù:
quella novità che ci fa vivere la tensione continua verso la Pasqua eterna, di cui la festa di Pasqua, che è
ormai vicina, è solo annuncio e pregustazione.
V DOMENICA DI QUARESIMA sussidio C.E.I.